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  • Autore: Frivolo
Alla finestra - Lucca Trasgressiva
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Alla finestra - Lucca Trasgressiva

I fatti risalgono a qualche anno fa, era una bella estate calda.
Avevo circa vent’anni ma non li dimostravo, sono sempre stato un tipo minuto, con il corpo quasi del tutto privo di peli e con le labbra carnose.
Da tempo uscivo con le ragazze attratte dal mio aspetto e dalla mia dolcezza (così dicevano loro).
mi sentivo attratto anche dai maschi, soprattutto quelli molto più grandi di me, il mio sguardo finiva sovente sui loro “pacchi”, mi capitava di fantasticare sulle dimensioni dei loro cazzi, tenuto conto del fatto che io non sono particolarmente dotato. Le mie fantasie si erano evolute sul modo nel quale avrei potuto giocare con quelli che mi immaginavo fossero grossi pali, sull’esperienza di cui quei signori potevano possedere riguardo all'utilizzo.
Appunto, fantasie, fino a quel giorno.
C'era un vicino di casa, un mio dirimpettaio che si appoggiava al davanzale della finestra e mi osservava, inizialmente avvertivo il suo sguardo su di me, poi non ci feci più caso. Era avvantaggiato dal fatto che casa mia, dotata di ampie vetrate, era allo stesso piano del suo appartamento. IN effetti anch'io, incuriosito, avevo cominciato a guardarlo, senza notare nulla di interessante o di insolito.
Vicino ai sessant’anni, tarchiato, peloso, con il ventre prominente, decisamente brutto.
Non abitava lì da molto, qualche mese. Dalle chiacchiere che avevo udito nel vicinato ero venuto a conoscenza del fatto che era stato cacciato di casa dalla moglie (si vociferava che l'aveva tradita con un uomo), si chiamava E. Al lavoro faceva i turni, spesso la notte, quindi era facile che fosse in casa di giorno, quando io, studente ed unico in famiglia a non lavorare, ero quasi sempre solo.
Ormai mi ero abituato alla sua presenza e nonostante mi piacesse camminare per casa in mutande non mi imbarazzavo. A volte restavo addirittura nudo, senza preoccuparmi del fatto che lui poteva essere lì a guardarmi, anzi, mi capitava di farlo apposta. Ultimamente incrociavamo gli sguardi e lui mi salutava con un cenno della mano. Io rispondevo, educatamente ma senza minimamente ricoprirmi.
Un pomeriggio, eravamo in piena canicola e per la strada non c’era un'anima, mentre mi trovavo sulla terrazza, per la prima volta mi chiamò, alzando la voce: “Senti, avrei bisogno di aiuto, devo spostare un armadio ma è pesante”. Io mi sorpresi, non ero certo un forzuto, ne lo sembravo. Come sempre in casa non c'era nessun altro. Disponibile, feci un cenno di assenso ed andai nel suo appartamento.
Era un bilocale, piccolo e un po' disordinato.
“Ciao, figliolo, ti ringrazio. Quello è il mobile, dobbiamo solamente spingerlo più in là”.
Mi aggrappai al mobile con le mani per iniziare a spingere. Lui si mise dietro di me, appoggiò anch'esso le mani sull'armadio, praticamente ce l'avevo addosso, puzzava lievemente di sudore, perfettamente sopportabile. Del resto era un giorno caldissimo di luglio, eravamo vestiti succintamente, lui in pantaloncini corti e canottiera, la pancia che forzava sull'indumento, i peli che uscivano da tutte le parti, sembrava un orso. Io seminudo come sempre, però con un paio di bermuda da mare. Ero magro, solo con pochi peletti biondi appena visibili sul petto, i capelli leggermente lunghi ed ondulati, con le infradito ai piedi, sguardo dolce, un vero bocconcino.
Mi accorsi che lui spingeva il mobile in modo blando ed inutile, in compenso, da sotto la sua pancia prominente appoggiata sulla mia schiena, sbucava qualcosa di grosso e duro che mi forzava il solco fra le natiche e si strusciava. Per un attimo pensai fosse un ginocchio, ma mi resi conto, subito dopo, che era ben altro. Ero imbarazzatissimo ma mi meravigliai con me stesso che questo non mi dava fastidio, anzi mi eccitava.
Il mio fantasticare si stava trasformando in realtà.
E. se ne accorse: “Ma che bravo ragazzo, allora ti piace, girati, dai che te lo faccio vedere! Ci avevo visto giusto... sempre nudo e sculettante!”.
Ci staccammo, spostò appena i calzoncini e sgusciò fuori un grosso cazzo peloso, ritto come un pennone, con una enorme cappella viola scuro, quasi nera, totalmente scoperta. Come nei miei sogni.
L’affare probabilmente superava i venti centimetri di lunghezza, anche il diametro era notevole, come uno di quei vecchi flaconi di lacca per capelli: “Dai avvicinati, tesoro, toccalo”. Nonostante le mie fantasie, le dimensioni mi impressionavano, pensai di rifiutare, ma la mia mano si mosse da sola, glielo afferrai, automaticamente cominciai subito a fare su e giù, la sensazione fu piacevole, pulsava nella mia mano.
“Ma guarda un po', sei abile, si vede che ti fai le seghe, ora tira fuori anche il tuo!”. Calai il costume ed il mio cazzetto ritto svettò davanti a lui.
“Ti sei eccitato! Bene, bene! Ora ci divertiamo.”
Me lo toccò. Per qualche istante ci masturbammo a vicenda, intanto mi passava la mano nel solco del culo, poi: “Okay, ora però me lo baci un po', dai, non ti preoccupare, vedrai che non è male”.
Si sedette sul tavolo, poi mi pose le mani sulla testa e me la spinse giù, verso il suo cazzo, mentre mi avvicinavo un odore pungente colpiva le mie narici, una goccia di liquido proprio sulla punta del glande. Opposi un minimo di resistenza senza ottenere nulla, allora assaggiai la goccia con la lingua, era salata: “Dai, apri la bocca!”. Lo feci e lui mi spinse dentro il cazzo, esclamando: “Succhialo, così, bravo!”, stavo succhiando: “Per ora va bene così, poi ti insegnerò a farlo meglio, continua... brava zoccoletta!”. Me lo spinse fino in fondo alla gola, io cercai di tirarmi via, perché mi erano venuti alcuni conati, ma lui mi teneva fermo: “Dai ancora un po' che poi ti piace”, nonostante tutto, infatti, coscienzioso, continuavo a succhiare, poi, dopo alcuni minuti: “Ti insegnerò a fare dei bei pompini, intanto ora passa la lingua per benino dappertutto, sotto la cappella e sul buchino, poi sulle palle, dopo succhiale, dai!”.
Io, obbediente, feci come diceva lui, mugolava.
Poco dopo: “Va bene, andiamo per gradi, adesso facciamo un'altra cosa, anche questa ti piacerà, lascia fare tutto a me”.
La sua voce tremava, era eccitatissimo, gli era piovuto in casa questo regalo ed intendeva approfittarne fino in fondo.
Mi accompagnò in camera da letto, l'altra stanza dell'appartamento, mi fece sdraiare sulla schiena, sul bordo del letto, con il culo che usciva leggermente fuori, mi sfilò definitivamente il costume che mi era rimasto attaccato alle ginocchia.
Ora ero completamente nudo.
Mi tirò su per i piedi, piegandomi quasi in due, mi resi conto che era sua intenzione sverginare il mio culetto, liscio e rotondo.
Inizialmente non volevo, cercai di abbassare le gambe, ma lui le afferrò tenendole aperte, era forte: “Non aver paura, ti preparo per benino”. Iniziò a leccarmi il buco: “Mhh... è buono come una figa, dolce come il miele”. Ci infilò una delle sue grosse dita, poi un'altra, ero ancora completamente vergine e mi lamentai.
Lui, tappandomi la bocca con l'altra mano: “Shhh... non fare così che ci sente qualcuno! Ora le tolgo”.
Scomparve alcuni secondi, tornò con un tubetto in mano, conteneva una non precisata crema.
Ne spinse dentro un po’, assieme a tutto il dito.
Rovistò in un cassetto del comodino lì accanto, trovando un vecchio portafogli in pelle. Me lo mise fra i denti.
“E' vuoto, stringi almeno così non urli. Ora arriva il bello, rilassa il buco il più possibile, spingi leggermente, come per cagare... non stare duro che fa più male”. Frappose le braccia fra le mie gambe aperte, appoggiò il grosso glande allo stretto buco bagnato di saliva e unto di crema: “Non ti muovere, mi raccomando, vedrai che poi godrai come una troia!”.
Ero spaventato.
Diede una prima spinta, la cappella si fece strada e penetrò con fatica, allargando le crespe inviolate, faceva veramente male.
Inizialmente non riusciva a farlo entrare per più di metà, probabilmente il mio retto era troppo stretto e corto per quel palo, fatto sta che anziché fermarsi iniziò a pompare, ad ogni colpo spingendo con più forza, quasi con cattiveria. Mentre stringevo con i denti, rompendo il portafogli, raschiavo con la gola perché non potevo urlare. Il dolore era pazzesco.
Poi il cazzo sfondò, allargò il varco e raddrizzò la curva del retto, udii il rumore di uno schiocco, uno “sgnack” dentro di me.
Era tutto dentro. Mi aveva veramente “rotto il culo”.
Ma pian piano il mio corpo si adattò, il mio sfintere prese la forma del suo membro, sentivo quell'affare che si muoveva prepotentemente, violandomi...
Incredibilmente, ora mi stava piacendo, sempre di più mentre pompava con un crescendo di spinte.
Il dolore, pur presente era diminuito. Mi piaceva il rumore, lo sciaquetio che si udiva ad ogni spinta, lo sfregamento che avvertivo chiaramente sulle pareti del retto, la stimolazione della mia ghiandolina. Ero fregato, mi resi conto che l'avrei per sempre preso nel culo, era troppo bello.
Infine, per completare l'opera, arrivò una prepotente sensazione all’inguine, sborrai, godetti di culo come un maiale, un orgasmo devastante che non avevo mai provato prima. Nitrivo come una cavallina alla monta.
E. sorrise biecamente, aveva capito che ero nelle sue mani.
Proseguì a scoparmi, sbuffando.
Ad un certo punto, stanco, lo tirò fuori e me lo mise davanti alla faccia: “Su bella, finisci con la bocca!”. Rimasi interdetto, era tutto sporco, impiastricciato di crema, sangue ed altre porcherie.
Ovviamente non ero un pompinaro esperto, così ricoperto il cazzo mi faceva ancora schifo.
“Finisco con una sega!”, lui: “Va bene però ti sborro in bocca”.
In ginocchio davanti a lui lo masturbai con due mani, il cazzone era scivoloso ma scorreva bene. Improvvisamente mi fece un cenno, io lo appoggiai fra le labbra, continuando a muoverlo. Respirando con forza iniziò a sborrare, gemendo mi riempì subito la bocca ed io, altra prima volta, buttai giù tutto, con lunghi sorsi. Aveva un sapore aspro, per me nuovo. “Bravo amichetto, impari tutto alla svelta”.
Mi fece sedere vicino a lui e mentre mi accarezzava lascivamente mi raccontò che era stato cacciato da sua moglie quando l'aveva sorpreso in casa con un conoscente. Solo che questo indossava della biancheria intima femminile mentre E. lo inculava. “Ma ora ci sei tu, mi verrai sempre a trovare. Sei portato per il cazzo, ti sei fatto sverginare per benino e io ce l'ho bello grosso, lo hai sopportato bene. Sei uno che gode di culo. Mi sono fatto un sacco di seghe, appoggiato alla finestra, guardandoti nudo e pensando al tuo buchetto, ma ora è mio”.
Poi, subdolamente: “Sai, pensa se si sapesse in giro che ti ho inculato e poi mi hai ingoiato la sborra... io sono diventato famoso per queste cose, sono sputtanato, ma tu...”. In pratica mi fece capire che era meglio per me stare al gioco. Ma non serviva, ero disponibilissimo, curioso di vedere fin dove sarei arrivato.
Tornai a casa camminando a gambe larghe per il dolore allo sfintere. Era rimasto aperto, sentivo l’aria entrarmi liberamente nell’intestino, la crema lubrificante mi colava lungo le gambe. Non feci tempo a guarire del tutto che E. mi chiamò per replicare, ormai ero la sua “fidanzata”.
Tornai da lui molte volte, mi aspettava alla finestra e mi salutava, era un segnale. Lui ed il suo appartamento erano sempre più sporchi e trasandati, ma mi piaceva stare lì, razzolavo nella sua sporcizia, mi fece di tutto ma io mi umiliavo per lui, perché il suo cazzo lurido mi faceva godere come un porco. Glielo succhiavo a lungo, poi mi inculava a sangue in tutte le posizioni sfogando le sue voglie. Il mio culo era ormai bello slabbrato e non provavo più alcun dolore, solo piacere. Dopo tornavo a leccare il suo membro scuro, quello che c'era appiccicato non mi faceva più schifo, anzi, lavavo tutto per benino, ingoiando. Era la pulizia più profonda che E. dava al suo corpo.
La sua sborra densa e cremosa divenne una bevanda abituale o una frequentissima lavanda per il mio canale anale, a volte stava a guardare mentre la spruzzavo fuori dal buco spanato.
Quando non potevo andare a casa sua perché da me c'era qualcuno ed avrebbe notato la cosa, ci davamo appuntamento in un parco dall’altra parte della città, dove ci infrattavamo o in qualche altro luogo sordido dove lui, prima di avermi conosciuto, si recava per rimorchiare qualcosa.
Poi E. scomparve dalla mia vita.
Io ero assente da qualche giorno, per motivi di studio. Quando tornai seppi che gli era venuto un ictus, l'avevano ricoverato e poi la moglie, presa a compassione, l'aveva fatto tornare a casa, semi paralizzato. Andai a trovarlo una volta, era bloccato sopra una sedia a rotelle, furtivamente gli appoggiai la mano sul cazzo per l'ultima volta, anche se era ovviamente impotente.
Il sentore che qualcosa non andava si era già avuto durante i nostri ultimi incontri, si stancava dopo poche pompate e dovevo essere io a sedermi sul suo cazzo e fare su e giù.
Fui molto dispiaciuto, la sua porcaggine ed il suo pilone mi sarebbero mancati...
Da allora è proseguita la mia vita etero, ma questo solo ufficialmente. Con le dovute precauzioni, ogni tanto chiamo qualcuno che ho conosciuto nei posti dove mi portava E., andiamo in un luogo sicuro e mi faccio sfondare per benino il culetto che, così, non si è mai richiuso, dopo concedo quasi sempre anche un bel pompino ripulitore. Sono sempre vecchi porci, zozzi, arrapati e ben dotati, come minimo hanno il doppio dei miei anni.
I miei coetanei non mi interessano. Invece le donne mi piacciono giovani e belle fresche.
Quando non posso incontrare i miei anziani amici faccio da solo, carote, zucchine, cetrioli e manici di padelle.
E’ come il fumo, quando prendi il vizio, poi non riesci più a smettere.

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